La Terapia Breve Strategica per le Dipendenze Alimentari
Come la terapia breve strategica può aiutarti a gestire i disordini alimentari
Chiara Biagini - Psicologa e Psicoterapeuta online o a Roma
I disordini alimentari e la terapia breve strategica
In letteratura si distinguono diversi disturbi alimentari che variano a seconda dei loro sintomi e del loro funzionamento.
La terapia breve strategica è in grado di intervenire e di risolvere tutti disturbi alimentari.
Ma prima di passare all’intervento strategico, vediamo nello specifico quali sono i principali disturbi alimentari.
Bulimia
Chi è affetto da bulimia ha l’abitudine di ingurgitare grandi quantità di cibo attraverso delle vere e proprie abbuffate che altro non sono se non lampanti perdite di controllo che determinano a lungo andare un significativo aumento di peso nel soggetto.
I sentimenti che prova una persona affetta da bulimia oscillano su un continuum che si muove tra grande piacere che si manifesta durante l’abbuffata e paura di perdere il controllo.
Per cercare di risolvere il loro problema i soggetti affetti da bulimia tentano di controllare le loro abbuffate ma proprio questo tentativo sarà loro fatale perché sarà ciò che farà perdere loro il controllo.
L’orientamento strategico distingue tre categorie di pazienti affetti da bulimia:
- chi ha un’abitudine alimentare irregolare durante tutto il giorno e quindi non mette in atto vere e proprie abbuffate ma spizzica per tutta la giornata
- chi alterna abbuffate e regime alimentare dietetico con conseguente aumento e perdita di peso
- chi utilizza il cibo come coccola e/o come compensazione ad una serie di mancanze che sente nella sua vita; in questo caso il grasso è come se proteggesse l’individuo da emozioni pericolose e/o da possibili rifiuti perché il soggetto con la sua condotta alimentare che ne determina il suo aspetto grasso si mette al riparo dalle relazioni rendendosi assolutamente non desiderabile.
Binge-eating
Con questo disturbo si intende un comportamento alimentare incontrollato caratterizzato da abbuffate senza condotta di eliminazione (cioè vomito). Con l’obiettivo di perdere peso, i pazienti affetti da binge-eating cominciano una dieta restrittiva salvo poi a non riuscire a controllare l’astinenza da piacere del cibo finendo poi così con l’abbuffarsi.
Durante le abbuffate queste persone riescono ad ingurgitare in un lasso di tempo assai limitato quantità di cibo difficilmente ingeribili anche se non si sentono affamati, mangiano rapidamente e voracemente fino a sentirsi sgradevolmente pieni, provano emozioni di disgusto per se stessi e sensi di colpa per ciò che stanno facendo senza però riuscire a interrompere l’abbuffata.
Anche in questo caso, pertanto, è la volontà di controllare che entra in cortocircuito e che porta alla paradossale perdita di controllo.
Vomiting
Il Vomiting è stato considerato per anni esclusivamente un modo mediante il quale il soggetto riusciva a mantenere il peso desiderato attraverso condotte di eliminazione (cioè vomito). In altri termini l’individuo a dieta si concedeva uno sgarro e poi per non ingrassare e non assimilare quello sgarro lo vomitava.
A seguito di una ricerca intervento durata circa 30 anni, il Centro di Terapia Strategico di Arezzo, diretto dal Prof. Giorgio Nardone ha inquadrato il vomiting come un disordine alimentare a se stante con sue specifiche connotazioni e dopo tanto studio si è arrivati alla formulazione di un protocollo di trattamento contraddistinto da indiscussa efficacia.
Il paziente affetto da vomiting scopre che effettivamente sgarrare la dieta e poi vomitare rappresenta un’ottima strategia per ‘togliersi le voglie’ senza ingrassare e togliersi il senso di colpa per aver infranto la dieta. Con il passare del tempo, però, il soggetto scopre anche che l’accoppiata ‘mangiare e vomitare’ è proprio piacevole pertanto inizia a mangiare per poter poi provare il piacere del vomitare. Così facendo l’individuo si ritrova vittima di una compulsione piacevole a cui diventa difficile rinunciare perchè essa provoca sensazioni forti e piacevoli.
Nello studio di uno psicoterapeuta accedono due tipi di vomitatrici: quelle pentite che si rendono conto del loro problema e vogliono interrompere il rituale di cui sono diventate schiave e quelle tutt’altro che pentite ma compiaciute che vengono portate di forza in terapia dai familiari che si preoccupano per loro.
Anoressia
Questo disturbo, il cui nome deriva dal latino a-norexia che significa letteralmente mancanza (a) di appetito (norexia), insorge solitamente tra i 10 ed i 35 anni, interessa principalmente i soggetti di sesso femminile (90-95%) ma ultimamente si sta diffondendo anche in quelli di sesso maschile.
Il disturbo si manifesta con il mettere in pratica restrizione e rifiuto nei confronti del cibo, una restrizione ed un rifiuto così rigidi e prolungati nel tempo che nei casi più gravi determinano importanti conseguenze fisiche e fisiologiche che portano il soggetto a ricoveri coatti durante i quali spesso i sanitari sono costretti ad effettuare alimentazione forzata consistente in liquidi pregni di sostanze nutritive tramite un sondino.
Con il passare del tempo il soggetto che soffre di anoressia, che ricorre oltre all’astinenza dal cibo, all’uso di lassativi, all’over exercising altri fantasiosi stratagemmi per non ingrassare, perde completamente la percezione del proprio corpo e comincia ad indossare delle ‘lenti deformanti’ per cui più dimagrisce più si vede in sovrappeso, perdendo completamente il senso della misura ed ignorando il fatto che si sta ammalando, cosa di cui, invece, chi si trova intorno al paziente anoressico spesso, anche se con ritardo, nota. Generalmente, infatti, è proprio la famiglia dell’anoressico che si accorge della problematica e chiede un consulto, viceversa, il paziente sente come unico problema l’inesistente sovrappeso che si vede addosso.
Chi soffre di anoressia, generalmente è un individuo delicato, iper-sensibile che sente la propria realtà e la propria vita come troppo complicata da affrontare. A ragion di ciò, la persona tenta di difendersi dal mondo costruendosi un’armatura che inizialmente difende bene dall’esterno, ma che si rivela a lungo andare una prigione dalla quale è difficile uscire. L’armatura si costruisce giorno dopo giorno cominciando prima con l’astenersi solo dal cibo e piano piano allargando questo rifiuto a tutti i piaceri della vita e a qualsiasi emozione positiva e piacevole trasformando l’esistenza del paziente anoressico in un deserto emotivo e relazionale che lo tiene imprigionato nella sua solitudine emotiva.
Tutta la vita del soggetto inizia a ruotare attorno alla forma fisica e all’alimentazione e l’individuo diventa così bravo a controllare il cibo ed il peso che sarà proprio questo controllo a diventare il suo piacere più grande (ma l’unico!) della vita.
Come può, nei casi di disturbi alimentari, aiutare la psicoterapia?
Molti sono gli approcci che trattano i disturbi alimentari; essi mirano prevalentemente all’acquisizione da parte del paziente di una corretta ed equilibrata alimentazione, e nei casi di anoressia, principalmente al recupero del peso.
Tuttavia, specie nei casi di anoressia, essendo questo un soggetto molto resistente che spesso giunge in terapia, come già detto, costretto dalla famiglia che si mostra preoccupata delle sue condizioni fisiche, ed essendo la patologia stessa molto resistente, generalmente per affrontare il problema si predilige un orientamento di tipo integrato e multidisciplinare che però come già accennato si pone come obiettivo principe soprattutto quello di far recuperare peso al paziente.
Spesso, in questi casi nei casi più gravi, il percorso di psicoterapia è affiancato anche da una serie di consulti medici che permettono mediante il lavoro d’équipe di mantenere sempre vigile l’occhio degli esperti sul paziente.
Sfortunatamente, però, tutto questo pone il soggetto in una posizione che lo trasforma in un vero e proprio malato controllato a vista, condizione assai difficile da sopportare specie da chi, come l’anoressico, non ha quasi mai intenzione di farsi curare perché non riconosce di avere un problema- se non quello dell’immaginario sovrappeso- ed è stato costretto dalla famiglia ad un intervento terapeutico.
Cosa fa di diverso la terapia breve strategica (TBS) nel trattamento dei disturbi alimentari?
Questo approccio risulta molto efficace e rapido poiché risolve tramite un numero considerevolmente ridotto rispetto ad altri tipi di terapia. Come per tutti gli altri disturbi che tratta, la TBS interviene direttamente, ‘a gamba tesa’, sul problema, cioè non va ad investigare le cause ma lavora sul qui e sull’ora con una serie di tecniche, strategie verbali, stratagemmi, prescrizioni che vanno a ristrutturare (ovvero inquadrare in una nuova cornice) il mondo del paziente quasi senza che egli se ne renda conto, modificandone il comportamento ed interrompendo il circolo vizioso che la patologia aveva creato.
Non solo, l’approccio breve strategico, mentre cerca di ripristinare un’alimentazione regolare -o il recupero del peso nei casi di anoressia- parallelamente ricostruisce quel deserto emozionale e relazionale che la patologia aveva costruito attorno al paziente.
Attraverso il dialogo strategico, strumento principe della TBS il terapeuta riesce a rovesciare il problema e comincia ad introdurre nel qui e nell’ora dei piccoli quasi impercettibili cambiamenti che determinano una reazione a catena che trasforma l’intervento terapeutico quasi in una miracolosa magia.
Come già detto la TBS non ritiene che conoscere le cause di un problema sia utile per la sua soluzione in quanto sul passato non si può intervenire, infatti, esso non può essere cambiato.
A ragion di ciò, in TBS ci si focalizza su quello che il paziente ha fatto fino a quel momento per risolvere la problematica, su quel qualcosa che il paziente ha tentato di fare (le sue tentate soluzioni) che evidentemente non ha funzionato, ma non solo ha mantenuto e complicato il problema stesso.
L’intervento strategico mira perciò, sì al ripristino di una alimentazione corretta ma anche a scardinare l’omeostasi prodotta dal sintomo che mantiene in vita il problema creando nuovi equilibri più funzionali all’interno del paziente, del suo éntourage e della sua relazione con il proprio mondo (interno ed esterno/corpo), con il mondo vero e proprio e con gli altri.
La Terapia Breve Strategica nella risoluzione dei disturbi alimentari
La Terapia Strategica Breve si pone come ottima soluzione anche nei riguardi dei disturbi alimentari poiché, mediante i suoi protocolli che offrono numerose informazioni utili al paziente per seguire una corretta alimentazione e per smascherare il falso bisogno di cibo che ‘inganna’ la mente e mantiene in vita i disordini alimentari, in poco tempo permette di raggiungere un sano equilibrio nell’ambito dell’alimentazione.
Se desideri approfondire l’argomento o pormi delle domande contattami, sarò lieta di risponderti.